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Mi ero ripromessa di non farlo, di non commentare quello che è successo durante la manifestazione di sabato, ma proprio non ce la faccio. Soprattutto dopo aver guardato un’intervista ad una delle ragazze che ha ben pensato di manifestare la sua presenza in piazza lanciando sassi e bastoni contro la polizia che “vietava di manifestare”. Eh no, mia cara. Sei stata tu, come gli altri tuoi degni compari, ad impedire a me e tanti altri di manifestare pacificamente e senza l’angoscia e la paura di vedermi arrivare in testa un sanpietrino. Non accetto di sentire che tu “sei una donna incazzata perchè non trovi lavoro, perchè lo Stato non ti aiuta con la tua bambina”, perchè se fossi veramente incazzata, non andresti a devastare quello che è anche tuo o comunque  di persone che si sbattono dalla mattina alla sera per cercarsi un lavoro o per mantenerselo a fatica. Mia cara, non accetto che tu ti definisca “anarchica”, piagnucolando poi che le tue devastazioni sono la tua protesta contro lo Stato che non ti aiuta, perchè è troppo comodo e perchè non sai neanche quello che dici. Per me sei una persona violenta e vuota, che non trova altro strumento che la violenza cieca, che non ha forse mai riflettuto in vita sua su cosa significhi libertà. Del resto anche per parlare devi coprirti la faccia e nascondere la tua identità. Che tristezza pensare che ti sia lasciata manipolare così, magari per due soldi o solo per una manciata di promesse o di qualche esaltato ideale. Che tristezza pensare chetu sia per giunta una madre che dovrebbe insegnare a sua figlia come stare al mondo, darle gli strumenti per vivere in una società, a contatto con il prossimo. Che tristezza pensare che tu ti creda libera, ribelle, autorizzata a mettere in pericolo la vita degli altri, a fare scempio di una città, a profanare un luogo sacro, a distruggere con la tua violenza e stupidità il senso di una manifestazione importantissima.

Io che sono libera davvero, di pensare, di esprimermi e di scrivere, non con un sasso ma con poche righe ti dichiaro pacificamente il mio più profondo disprezzo.

Tra i progetti del cazzeggiante autunno, ho ben pensato di inserire un bel pomeriggio con le amiche all’insegna del baratto. Ho fatto tutto per benino, con tanto di invito mandato a tutte per e-mail, poche e semplici regole per un baratto divertente e messo a disposizione la mia nuova casetta ancora non infetstata da molti mobili. Approfittando del momento propizio, che vede la maggior parte delle mie amiche impegnate in un trasloco e tutte nell’odiato cambio di stagione, ho pensato di non perdere questa occasione e mettere in pratica quello che da un bel po’ di mesi leggevo nei vari blog e su internet. Eh si perchè di questi swap parties, come li chiamano quelli più seri di me, in Italia se ne organizzano sempre di più e quelli casalinghi hanno un sapore davvero divertente. Sono molto curiosa di vedere come andrà a finire e se vi interessa, vi terrò aggiornati sullo svolgimento e soprattutto su bottino di guerra. Comincio col dire che tutte hanno risposto positivamente all’invito, alcune con un entusiasmo inatteso e che sotto il letto la mia scatola del baratto è quasi piena…

Il primo vero giorno d’autunno, con il cielo grigio e la pioggerella, che immalinconisce e mette anche un po’ di sonnolenza. Il traffico che sembra essere impazzito più del solito, le facce stropicciate del venerdì, progetti per un fine settimana all’insegna della lentezza. Ottobre è sempre stato uno dei miei mesi preferiti, per i colori e i progetti pronti a schiudersi, a metà tra le vacanze estive e i nuvoloni, le sciarpe, la voglia di stiracchiarsi nel letto.

Avevo abbondonato il blog per un po’. Non avevo più tanta voglia di scrivere, ma forse soprattutto di condividere. Non ero triste nè malinconica, solo mi andava di starmene un po’ per i fatti miei. Vi capita mai? In realtà avevo iniziato più di un pensiero ma poi l’ho immediatamente cancellato. Non mi rispecchiava, non mi convinceva, non mi andava bene. Così mi sono presa una piccola pausa. Il fatto è che, e questo si sarà capito dal mio ultimo post, che ci sono state delle cose che hanno saputo mettermi addosso una negatività che non volevo assolutamente condividere con voi. Perchè questo per me è un angolo di positività e di luce che voglio difendere dalla parte meno bella delle mie giornate. E che leggo e mi legge è parte di quest’angolo luminoso. Però vogli anche dare qualche indizio: gli scazzi appartengono alla sfera lavorativa e per fortuna quella personale mi dà molta molta energia, questo è l’importante. Quindi sto bene, non mi spezzo mica.

Detto questo vi abbraccio e spero di trovare ancora qualcuno su queste pagine…

Che ho molte cose da raccontarvi, tra queste che ieri ho cominciato lo yoga e sono soddisfatta di aver finalmente mosso il mio pigro fondoschiena fino alla lezione, che per me è già moltissimo.

La Calunnia

La calunnia non è un venticello, è un atto infame.

Mi chiedo chi sia stato il primo o la prima. Perchè qualcuno deve esserci stato a lanciare qualche anno fa l’insana moda del piuttosto che e ora dell’assolutamente si.

Il piuttosto che imperversa già da qualche anno, amatissimo ed utilizzato, a mio parere impropriamente, soprattutto alle donne della tv che ne abusano nelle loro chiacchierate: “quando voglio rilassarmi mi piace passeggiare, fare sport, piuttosto che leggere, farmi un bel massaggio…”, il piuttosto

Ora, come i pantaloncini corti che tutte le donne si costringono ad indossare perchè vanno di moda sebbene donino solo alla Canalis, l’ultimo vezzo in voga è impreziosire ogni frase con un bell’assolutamente si. Che non vuol dire un cazzo. Che rafforza un’affermazione che non ha alcun bisogno di essere rafforzata. Assolutamente no!

Incuriosita dal fenomeno, sono andata a curiosare sul sito dell’Accademia della Crusca e con gioia non solo ho appreso molto, ma ho anche scoperto con soddisfazione di non essere la sola ad essermi posta il problema. Leggete, se vi va:

Vari utenti ci hanno chiesto delucidazioni sull’impiego sempre più frequente di piuttosto che con valore di disgiuntiva o. Allo stesso quesito ha dato risposta Ornella Castellani Pollidori nell’ultimo numero de La Crusca per Voi (n° 24, aprile 2002). Per facilitare i nostri lettori riproponiamo qui di seguito il testo completo.

Uso di piuttosto che con valore disgiuntivo

«La signora Miriam Ianieri, di Roma, nel sottolineare l’impiego sempre più diffuso (soprattutto nel linguaggio televisivo) di “piuttosto che” nel senso della disgiuntiva “o”, manifesta il dubbio che il fenomeno sia “finora sfuggito […] tanto ai lessicografi quanto ai grammatici agli storici della lingua”…

Il fenomeno segnalato dalla signora Miriam Ianieri, cioè l’impiego ormai dilagante di piuttosto che nel senso di  o, non è affatto sfuggito, naturalmente, all’attenzione degli storici della lingua (per parte mia, tanto per fare un esempio, ne avevo già discusso in un seminario del circolo linguistico della Facoltà di Lettere di Padova un paio di anni fa; e l’argomento è stato da me riproposto, in seguito, nell’àmbito dei lavori del Centro linguistico per l’italiano contemporaneo [CLIC]). Si tratta, come ha correttamente individuato la nostra lettrice, di una voga d’origine settentrionale, sbocciata in un linguaggio certo non popolare e probabilmente venato di snobismo (in tal senso è azzeccata l’allusione nel quesito a un uso invalso «tra le classi agiate del Settentrione»). Era fatale che tra i primi a intercettare golosamente l’infelice novità lessicale fossero i conduttori e i giornalisti televisivi, che insieme ai pubblicitari costituiscono le categorie che da qualche decennio – stante  l’estrema  pervasività e l’infinito potere di suggestione (non solo, si badi, sulle classi culturalmente più deboli) del “medium” per antonomasia – governano l’evolversi dell’italiano di consumo.

Non c’è giorno che dall’audio della televisione non ci arrivino attestazioni del piuttosto che alla moda, spesso ammannito in serie a raffica: «… piuttosto che … piuttosto che … piuttosto che …», oppure «… piuttosto  che … o … o … », e via con le altre combinazioni possibili. Dalla ribalta televisiva il nuovo modulo ha fatto presto a scendere sulle pagine dei giornali: ormai non c’è lettura di quotidiano o di rivista in cui non si abbia occasione d’incontrarlo. E purtroppo la discutibile voga ha cominciato a infiltrarsi anche in usi e scritture a priori insospettabili (d’altra parte, se ha prontamente contagiato gli studenti universitari, come pensare che i docenti, in particolare i meno anziani,  ne restino indenni?).

Gli esempi raccolti nel parlato e nello scritto sono ormai innumerevoli e le schede dei sempre più scoraggiati raccoglitori (è il caso della sottoscritta) si ammucchiano inesorabilmente. Eppure non c’è bisogno di essere dei linguisti per rendersi conto dell’inammissibilità nell’uso dell’italiano d’un piuttosto che in sostituzione della disgiuntiva o. Intendiamoci: se quest’ennesima novità lessicale è da respingere fermamente non è soltanto perché essa è in contrasto con la tradizione grammaticale della nostra lingua e con la storia stessa del sintagma (a partire dalle premesse etimologiche); la ragione più seria sta nel fatto che un  piuttosto che abusivamente equiparato a o può creare ambiguità sostanziali nella comunicazione, può insomma compromettere la funzione fondamentale del linguaggio.

Mi limiterò qui a un paio d’esempi  fra i tanti che potrei citare: dal settimanale L’Espresso, del 25.5.2001, incipit dell’articolo a p. 35 intit. Il cretino locale (sulla fuga dei cervelli dal nostro Paese): «È stupefacente riscontrare quanti italiani trentenni e quarantenni popolino le grandi università americane, piuttosto che gli istituti di ricerca e le industrie ad avanzata tecnologia nella Silicon Valley»; naturalmente questo piuttosto che pretende di surrogare la semplice disgiuntiva, ma il lettore non edotto è portato a chiedersi come mai i giovani studiosi italiani sbarcati negli Stati Uniti snobbino per l’appunto i prestigiosi centri di ricerca della Silicon Valley. E ancora: «… di questo passo, saranno gli omosessuali piuttosto che i poveri piuttosto che i neri piuttosto che gli zingari ad essere perseguitati»: frase pronunciata dal noto (e benemerito)  dott. Gino Strada nel corso del Tg3 del 22.1.2002; in questo caso, la prospettiva d’una persecuzione concentrata protervamente sulla prima categoria avrà reso perplesso più di un ascoltatore…

Immaginiamoci poi che cosa potrà accadere con l’insediarsi dell’anomalo piuttosto che anche nei vari linguaggi scientifici e settoriali in genere, per i quali congruenza e  univocità di lessico sono indispensabili.

Per quanto mi riguarda, non sono in grado di localizzare con sicurezza nello spazio e nel tempo l’insorgere della voga in questione. Mi risulta soltanto, sulla base di una testimonianza sicura, che tra i giovani del ceto medio-alto torinese il  piuttosto che nel senso di  o si registrava già nei primi anni Ottanta. È un fatto che questa  formula è generalmente ritenuta di provenienza settentrionale (il che già contribuisce, presso molti, a darle un’aura di prestigio): «Un vezzo di origine lombarda, ma ormai molto diffuso, è quello di usare la parola “piuttosto” […] nel senso di “oppure”», osservava criticamente un paio d’anni fa, sulla rivista L’esperanto, anno 31, n° 3, 5 aprile 2000, il direttore Umberto Broccatelli (scrivendo però “piuttosto” in luogo di “piuttosto che”). Il lancio vero e proprio del nuovo malvezzo lessicale, avvenuto senza dubbio attraverso radiofonia e televisione  (e inizialmente – è da presumere – ad opera di conduttori  settentrionali), sembra potersi datare dalla metà degli anni Novanta. Resta da capire la meccanica del processo che ha portato un modulo dal senso perfettamente chiaro, e rimasto saldo per tanti secoli, come piuttosto che a virare – all’interno di un certo uso dapprima circoscritto e verosimilmente snobistico – fino al significato della comune disgiuntiva.

Per azzardare una ricostruzione di quel processo proviamo  a partire da una frase del genere: «Andremo a Vienna in treno o in aereo». In questo caso le due alternative semplicemente si bilanciano. Se variamo la frase rafforzando il semplice o con l’aggiunta dell’avverbio piuttosto: «Andremo a Vienna in treno o piuttosto in aereo», chi ci ascolta può cogliere una tendenziale inclinazione per la seconda delle due soluzioni, quella dell’aereo. Sostituiamo a questo punto o piuttosto con  piuttosto che: «Andremo a Vienna in treno piuttosto che in aereo»; qui risalta abbastanza nettamente – sempre attraverso la comparazione tra due opzioni – una preferenza per la prima rispetto alla seconda. Dall’analisi delle varianti contestualizzate nelle tre frasi, mi sembra si delinei una possibile spiegazione del piuttosto che semanticamente ‘deviato’ di cui ci stiamo occupando (e preoccupando): in sostanza, può essere il prodotto di una locale, progressiva banalizzazione portata fino alle estreme conseguenze, cioè fino al totale azzeramento della marca di preferenza che storicamente gli compete  (e che nell’italiano corretto continuerà a competergli). Basterà avere un po’ di pazienza: anche la voga di quest’imbarazzante piuttosto che  finirà prima o poi col tramontare, come accade fatalmente con la suppellettile di riuso. Segnalo intanto la significativa “variatio” che mi è capitato di cogliere al volo qualche giorno fa (precisamente, il 17 aprile 2002), nel corso di una trasmissione televisiva che si occupa di alimenti e di buona cucina:  un’esperta di gastronomia, chiamata a giudicare tra piatti a base di pesce allestiti in gara da due cuochi, nel sottolineare quanto sia importante anche l’effetto estetico nella presentazione d’una vivanda ha fatto osservare come nei molluschi dalle valve variopinte utilizzati in una delle portate ci fosse «più colore rispetto a una triglia anziché a una sarda» (triglia e sarde essendo i pesci usati nella preparazione di altre due portate). In effetti, una volta appiattito semanticamente piuttosto che fino all’accezione del latino vel, non c’è ragione che non accada la stessa cosa ad anziché (e anche, di questo passo, a invece che, invece di) […]».

Ornella Castellani Pollidori

 

Telegraficopost

Necessito di sole, ceretta, una bella dormita, una bella vacanza.

Necessito anche di moooooooooolta pazienza.

Stop.

La Mia Casa

Amici tutti, sorryyyyy!!!! Per la mia assenza prolungata dal mio e dai vostri blog. Ma non è stata cattiveria, solo la ristrutturazione della casa dove tra poco ci trasferiremo. Eh si, si lascia la microcasa per una casa più grande, che è stata totalmente sventrata e ricomposta da un paio di mesi a questa parte. Hanno lavorato gli altri, è vero. Ma è stato stressante assai lo stesso. Sarà perchè sono un’ansiosa cronica, perchè i prevedibili imprevisti mi hanno fatta agitare parecchio, perchè tutte le sere della settimana dopo il lavoro e tutti i we sono stati esclusivamente dedicati a muri, pavimento, misure da prendere e riprendere, soluzioni da trovare, gente da contattare e saper prendere nel momento giusto, ecc ecc … Insomma è un bel po’ alienante, soprattutto se, vivendo da parecchio in due in una microcasa di 24 mq, si è totalmente impreparati a quante cose si possano fare, disfare ed inventare in uno spazio più generoso. Allora mi sono lasciata prendere la mano e ora che la nuova casa è quasi finita non mi sembra vero.

La bellezza di questa casa sta nei ricordi che ci sono dentro, nell’anima che ci vive dentro, nell’amore che c’è stato. In quella casa ci hanno vissuto per anni due persone fondamentali per la mia vita, che mi hanno cresciuta e amata, che si sono molto amate a vicenda. In quella casa c’è stata una lunga malattia, una calza della befana appesa ad una cappa, le mie pentoline arancioni; la pasta al pomodoro, le chiacchiere e le coccole, l’odore rassicurante che solo la casa dei propri nonni può conservare. C’è parte della mia vita trascorsa davvero felicemente e un altra parte che comincia con altrettanta felicità. Un nuovo pezzetto di famiglia, nuove fotografie, e quelli che diventeranno nuovi ricordi.

In questi momenti penso alla mia fortuna, all’amore immenso che ho intorno a me, che non è cosa comune nè scontata ma preziosissima, vitale ed eterna. Perchè quei ricordi sono una forza incrollabile ed inesauribile che mi accompagna e mi accompagnerà sempre.

Anno nuovo, chiacchiere nuove. Cominciamo in bellezza, sebbene con un certo ritardo, raccontando cose piacevoli. Perchè in vacanza ho letto molto, persino davanti ad un caminetto acceso con la neve fuori dalla finestra, calzettoni termici ai piedi ed un teuccio fumante a tenermi compagnia; poi perchè i tanti bei progetti proseguono e prendono pian piano forma; poi anche perchè sono tornata a lavorare con entusiasmo; e perchè, infine, queste sere mi sono messa ai fornelli tirandone fuori qualcosa di semidecente.

Insomma: ho novant’anni! Ma che vita spericolata, eh?! Il problema vero è che sono contenta, anche molto.

Il problema è che la mia creatività si è espressa in un malsano, piccolo desiderio: ho deciso di iscrivermi ad un corso di taglio e cucito per farmi i vestiti da sola.

E’ ufficiale.

Non sono una sexy e spericolata trentenne.

Sono una noiosa parruccona.

Stop.

Felicità

Intorno fremono idee. Pacifiche. Belle. Spiazzanti. Dentro c’è felicità. Grande. Serena. Azzurra. Una felicità di quando mi sento in pace con il mondo e finalmente ricaricata di energia. Stanno accadendo cose belle e desiderate, sto pian piano comprendendo che il cambiamento, quando davvero lo si desidera e ci si lavora, è una realtà possibile. Io mi sento più forte, capace di scrollarmi di dosso tante zavorre che sapevano solo rallentarmi. Io riesco a pensare a ciò che ho, a vederlo, a metterlo a fuoco. E mi sembra che la realtà guardata in questo modo prenda forma e dimensioni del tutto nuove ed inaspettate.

Tra le altre cose interrotte che ho ripreso c’è la scrittura, attività che avevo abbandonato da tempo. E questo mi fa anche pensare in modo diverso. Guardare in modo diverso. E sprecare meno tempo in ciò che non mi interessa più. Io ritrovo il mio nido, fatto di persone che amo, ritrovo posti già cari e posti che lo diventeranno, riprendo una strada percorsa che è davvero la mia, una strada dove procedo sicura perchè soltanto là io sono felice, sono me stessa pienamente. Senza condizionamenti, senza distrazioni, senza persone di passaggio. In quel bosco ci sono le rocce sulle quali passano aria, sole e pioggia, le rocce che sono solo mie, le rocce che hanno braccia per accogliermi ogni volta.